VANGELO DELLA DOMENICA

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Ascensione del Signore – anno C
12 Maggio 2013

La traiettoria

Celebriamo l’Ascensione di Gesú e la Chiesa da sempre interpreta tutta la missione del suo Signore in quell’immagine conclusiva di cui parla Luca: “Mentre li benediceva, fu portato verso il cielo”. Mentre li benediceva, prerogativa paterna; chi va benedice chi resta e gli lascia il potere sulle cose che erano sue, perché continui a governarle. Torna alla mente, istintivamente, come era cominciata la storia, con la cacciata dall’Eden e la maledizione iniziale. Ora la storia ha ritrovato il suo verso: la benedizione, il riconoscimento. Dio ha realizzato il suo progetto in Gesú e ogni creatura puó andare nella nuova direzione, cioè verso il cielo.
L’Ascensione ci ricorda il cielo come nuova traiettoria dell’umanità: andare verso il Padre. E ci dice il senso dell’esistenza in questa parabola del viaggio: scendere, salire. Dal Padre al Padre. Questo è il mistero e questa è la grazia del cammino umano.

L’ostacolo piú grande era la morte, perché la morte si pone davanti ad ogni realtà come se fosse la sua meta e gli uomini cadono in questa trappola deludente di considerarla come il luogo della fine. Gesú insegna che la morte è il punto doloroso che si dà per tornare al Padre; un punto fatale che rovescia e trasforma, di fronte al quale si trema per il cambiamento che impone. Ma non è la meta. La meta è il Padre.
Dichiarata la meta, il cielo, tutto quello che non è per il cielo che valore ha?
Oggi siamo invitati a verificare le nostre mete da quattro soldi e tutte le tensioni del nostro spirito che non hanno il cielo per meta: a che ci servono? Perché dedicargli tempo e forze? Perché piangerci?
La nostra mamma, che ci ha fatto nascere come credenti nel Battesimo, la Chiesa, ogni anno in questa data ci ricorda: non vivere per cose piccole, non dannarti per ciò che non va verso il cielo. Smettila di credere nei programmi, nelle strategie, nelle mediocri mete di questo mondo, punta al cielo. Questa terra con tutte le sue pulsioni vivila con gli occhi del cielo. La prospettiva della vita eterna.
Quel grande Vescovo che è il cardinale Biffi, emerito di Bologna, scherzando con la sua solita sagacia era solito ripetere: senza la prospettiva della vita eterna tutto è niente, anche la gioia; con la prospettiva della vita eterna tutto ha più gusto...perfino i tortellini bolognesi. Vuoi mettere?

L’Ascensione, ultima lezione

Da diverse settimane la Chiesa ci fa celebrare la Pasqua per ricordarci che a partire da lì siamo creature nuove e possiamo vivere i nostri giorni senza spettri e senza fantasmi. La sua Risurrezione ci ha rimessi al mondo. Non la sua morte, ma la sua Risurrezione. La sua morte ha solo distrutto la nostra vita peccaminosa, ma la gioia di essere figli e la libertà di vivere per sempre nella casa del Padre ci sono dati con la Risurrezione. Siamo vivi per la Risurrezione; ecco perché non c’è al mondo un luogo più significativo per noi che la rotonda della Risurrezione a Gerusalemme, quella che in Oriente si chiama Anastasis. Davanti al Suo sepolcro vuoto capiamo il balzo in avanti della nostra vita e della vicenda nuova dell’universo.
Durante questi quaranta giorni la Chiesa, nostra Madre, ci ha fatto leggere i racconti pasquali, lì dove si dice che il Signore Gesú “si é fatto vedere”, in mezzo alla sua comunità. Questi Vangeli pasquali sono come un percorso graduale per introdurre i discepoli nel mondo nuovo, determinato e riempito dalla presenza del Risorto, il mondo dove Gesù vive adesso, che noi raggiungiamo attraverso la fede e che è il mondo piú vero. Questi Vangeli, amo ripetere ogni anno, sono come la scuola di una lingua nuova, per apprendere la quale si ha bisogno di riferirsi a una lingua precedente. Tu stai apprendendo l’inglese e ti chiedi “come si dice pane in inglese?”; ti rispondono “pane si dice bread” e tu capisci ‘bread’ perché hai chiara l’idea di ‘pane’.
Così nei quaranta giorni tra la Pasqua e l’Ascensione il Signore utilizza ancora qualche espressione della lingua antica (venite a mangiare, metti qua il tuo dito, non avete nulla da mangiare), cammina con loro e parla in aramaico...ma lo fa per insegnare loro una lingua diversa, in maniera che l’antica venga gradualmente abbandonata.
L’Ascensione è l’ultima manifestazione visibile, nell’antica lingua, diremmo. Deve insegnargli che Egli non se ne va, ma ormai sta ed è raggiungibile nella sfera “celeste” dell’esistenza umana. Infatti Luca racconta che dopo l’Acensione essi non lasciano la cittá tristi come era capitato ai due di Emmaus, ma felici di una gioia grande e dediti alla lode continua nel tempio. Gesú non se ne è andato; semplicemente ha dato il segnale di un nuovo modo di presenza.
E i Vangeli dei 40 giorni sono una risposta alle domande dei credenti di ieri, di  oggi e di quanti ne vedrá ancora la storia: “Dove sta il Signore Risorto? Come si entra in contatto con Lui? Che fa Gesù?”. Le risposte stanno nei Vangeli pasquali che abbiamo letto: egli sta in mezzo alla Chiesa, lo si incontra nella frazione del pane, si sta con Lui nella missione data ai suoi; cammina con loro se li vede smarriti e tristi, guida la pesca della Chiesa nel mondo, lo si incontra visibilmente nell’ottavo giorno che è Domenica.
Qui lo si incontra, questi sono gli incroci segnalati della sua presenza nella mappa della vita; indicazioni amorose offerte ai suoi discepoli che ormai devono orientarsi in un mondo nuovo dove il Signore non lo si vede piú con il suo corpo terreno, ma lo si incontra dovunque...
A chi legge gli Atti degli Apostoli succede una strana e meravigliosa avventura: imbattersi negli amici di Gesú che hanno subito una trasformazione radicale; essi vivono ormai in un mondo in cui, si potrebbe dire, “vedono” il Signore. Sono contenti di essere oltraggiati per il suo Nome, dipendono costantemente dal suo Spirito che li guida nella missione. Una vita trasfigurata, totalmente condizionata dal Risorto, una vita bellissima, in cui morire non fa più male. Prima davanti alla croce fuggivano, ora anche se non lo vedono e non lo incontrano, vivono una vita che è piena di Lui.
L’Ascensione gli ha consegnato il diploma di una nuova lingua. Ormai hanno capito dove si trova; anzi per loro è bene che se ne sia andato perchè ricevano lo Spirito e parlino solo la lingua nuova.

padre Fabio, guanelliano