6-dom-pasqua-anno-b-2SESTA DOMENICA DI PASQUA – anno B

13 Maggio 2012

Come mio Padre con me

            Oggi niente di nuovo sotto il sole: il Vangelo parla di amore. E di che se no?

Ma c’è una curiosità che merita attenzione, quando parliamo dell’amore nella vita dei credenti in Gesù.

            Tutti sappiamo quanto il vissuto condizioni il linguaggio, poche volte ci interroghiamo su quante volte succede il contrario: se è una parola a cambiare la realtà. Appena il cristianesimo mette piede nel panorama mondiale sente il bisogno di coniare un altro termine per dire l’amore. Ce n’erano di vocaboli nella lingua greca e ognuno con le sue sfumature, ma bisognava dire la cosa nuova e spunta la parola ‘agape’, che oggi ancora definisce la nostra idea e la nostra esperienza di amore.      

            Se ne faccio una questione di linguaggio è perché il Cristianesimo ha sentito che le parole erano strette per dire quella cosa lì: in fondo anche Zeus amava gli uomini e anche Artemide o Apollo…Ma questo Dio di cui parla Gesù, il Dio che Paolo annuncia di che pasta è?

            Basta guardare all’ultimo secolo nostro, in Occidente, per esempio.

            I nonni si sono uniti e per loro ‘amore’ era quella cosa che è tanto sacra e intangibile che nulla può mettere in discussione; te l’hanno scelta, te l’hanno data una storia d’amore, ti hanno messo nelle condizioni di viverla, chi sei tu per manipolarla? Che poi tu ci stia bene o meno dentro quella cosa lì non conta proprio nulla; un’idea di amore basicamente fondata sull’eroismo in cui ci si sacrifica, perché tutto è sacrificio, la vita, il lavoro, i figli, la fede. Cosa è la gioia?

            Poi è toccato ai nostri padri; già il grado di libertà era mutato perché si trattava di una storia più o meno scelta ed entrarci era una firma a vita. Perché tutto era a vita: il lavoro, la casa, le coordinate dell’esistenza. Un amore fatto di testa, molto centrato sul dovere, tutto teso alla tensione del resistere. E boia chi molla…Di fatto ai pochi che buttavano la spugna esausti era riservato il marchio del fallimento.

            Quando è stato il nostro turno il panorama era leggermente cambiato; bisogna entrare solo in quelle storie in cui ‘senti’ di entrare: una cosa centrata radicalmente sulle sensazioni e con la regola della spontaneità. Quello che non è spontaneo e non ti dà fremito sulla schiena è da buttare via, perché tu…devi essere autentico! Nulla conta se non le tue emozioni. Boia chi resta…Ai pochi che restano  spesso è affibbiato il marchio dei fessi, che non hanno il coraggio per la libertà!

            Toccherà anche ai ragazzi di oggi e non so quale deriva si configurerà questa volta. Intuisco e ho come il presentimento che la chiave di interpretazione questa volta sarà ‘il futuro’, ‘il destino’, ‘la mia realizzazione’. In fondo l’amore con le sue conseguenze è anche castrante; a quante cose ti chiede di rinunciare! Ma tu hai una sola vita e sei nato per sbocciare: America, Inghilterra, Francia, Africa…esperienze, viaggi, titoli di studio. Amare è soprattutto amarsi, cioè amare se stessi; l’altro amare è una perdita di energie, che ti svilisce.

            Mi fermo perché rischio la retorica e il qualunquismo.

Un quadro utile a dire solo una cosa: tutte queste derive hanno in comune un punto di sviluppo. Impostare su se stessi l’attività che l’umanità da sempre chiama ‘amore’.

Sei tu che dici si o no, che ti sacrifichi, che rinunci, che cambi, che molli, che scegli. Tu.

            Ecco Gesù ha un’altra storia da raccontare.

“Come il Padre ha amato me”. Una sorta di fontana, di sorgente,un’altra prospettiva c’è ed è quella che devi chiamare amore: la maniera in cui Dio ti amato.

            Insomma: io non sono stato trattato da Dio come merito; ho conosciuto in lui pazienza e misericordia in un grado quasi irrazionale. Con l’imbarazzo di stargli davanti a mani vuote mentre lui me le riempie. Io che non sono capace di presentarmi a casa di nessuno senza portare un regalo o un pensiero…perché siamo malati di questa legge del contraccambio che bagna anche le relazioni più profonde: come stare in rapporto se non attraverso uno scambio? Con Dio sto così: nel disagio di chi solo prende; questo è stare nel suo ‘amore’. E me lo chiami amore l’altro? Me lo chiami ancora amore?

Per me amare Dio è stare nella gratitudine del cuore beneficato; mi ha così stordito a senso unico che posso solo amarlo; impossibile stare alla pari con lui, perché non mi ha trattato come meritavo! Amare è farselo insegnare l’amore, riceverlo…

            Amare significa entrare in questa furbizia: che bello è stato quel dolore felice di sentirmi perdonato a sorpresa. Quello è amare per Gesù. Che non è poi così innaturale nel mio cuore; in fondo cosa cerco quando dico ‘amore’? Trovare quello che tutti sperano di trovare: qualcuno che sappia dare un po’ d’amore. E cioe? E cioè la vita. Donare senza chiedere troppo in cambio. Ma chi l’ha fatta partire questa cosa nuova?

Dio.

            Da quando Lui ci ha amati come ci ha amati, il mio amore è solo una risposta e quando amo sto rispondendo alla gratitudine che mi grida dentro, altro che certe grottesche raffigurazioni: “non sento più niente”, “mi sento svuotato”

L’amore secondo Gesù non è quando l’altro ti sta davanti e se lo merita tutto il tuo bene, perché Lui, Gesù,  non mi ha amato così. E’ amore se sta di fronte alla povertà, al difetto, all’errore.

            Insomma chi mi ha amato quando ho tirato fuori il peggio di me?

Ecco quella cosa lì chiamala amore; il resto è il tentativo di un rapporto alla pari, che è merce di scambio.

“Come il Padre ha fatto con me”.

Roba da vertigini. Che però abbiamo sperimentato.

                                                                                                                   padre Fabio, guanelliano