VANGELO DELLA DOMENICA

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6ª Domenica del Tempo di Pasqua – anno C
5 Maggio 2013

Perché non ci sentissimo persi e soli

Il Vangelo che la Chiesa ci offre in questa Domenica apre giá la porta a celebrare lo Spirito Santo nella Pentecoste, come un assaggio, come un preludio. E lo Spirito Santo che la Liturgia nel famoso inno canta “donum Dei Altissimi”, affiora cosí nella vicenda degli amici di Gesú, come l’assicurazione in un’ora difficile, contro ogni solitudine e senso di smarrimento.
Il brano di oggi fa parte dei famosi testi detti dell’addio, perché raccontati da Giovanni la sera prima della tragedia del Calvario; agli apostoli rattristati dal pensiero che egli stava per lasciare questo mondo e stava per sottrarsi ai loro occhi e alla loro familiaritá, Gesú offre una garanzia: “Verrá un altro Consolatore, che io vi manderó dal Padre, lo Spirito della veritá”.

Abbastanza facile capire la cornice di questo dono: c’é un turbamento, perché gli amici di Gesú sono chiamati a passare da una compagnia fisica ad un altro tipo di presenza che non sanno e non possono immaginare. Se perdono Gesú, tutto é perso e se tutto é perso tutto é stato inutile, anche se bello. Con Te, Signore, avevamo un ruolo, una faccia, una missione, un luogo in questo mondo: eravamo la tua compagnia, l’avviso della tua presenza, ma senza di Te? Come un bimbo che perda la madre...
No. “Non sia turbato il vostro cuore, abbiate fiducia in Dio e abbiate fiducia anche in me”. Non é finito nulla. Verrá Colui che vi consolerá e avrá il compito di mantenere aperta questa storia. Lo Spirito Santo é la memoria di quello che avete vissuto con me, insegnerá, ricorderá...
Puó capire il dono dello Spirito chi conosca questo senso di smarrimento e di solitudine, la delusione di aver perso una presenza. E di aver perso Cristo, di non ritrovarlo. Ma non puó capire questo dono chi vive cosí avvitato su di sé che qualunque perdita gli é trascurabile. Chi sta troppo e solo su di sé non perde mai nulla e nessuno, tanto meno Cristo; basta a sé stesso, almeno cosí crede. Che se ne fa di uno Spirito Santo? Va da sé nella vita...come un autodidatta.
Qui si inserisce la meditazione di oggi: dobbiamo gestire l’assenza di Cristo e ci sono date due opzioni. Due sole, nella forma del dilemma, in cui una esclude l’altra: o ci mettiamo all’ascolto e all’apprendistato dello Spirito o ci mettiamo in autogestione. Sembra piú attiva l’autogestione, ma é un’apparenza ingannevole: quanto lavoro comporta la scuola dello Spirito lo sanno i Santi, a cui potremmo chiederlo..

Verrá un altro Consolatore

Sapere di avere lo Spirito, credere che non siamo soli e persi, ma il Dono del Signore Gesú salva dall’assurdo la nostra avventura umana. E che sta in noi come Pàraclito, un termine greco del linguaggio forense che vuol dire patricinatore, soccorritore; la tradizione cristiana lo ha anche chiamato per questo avvocato e consolatore. Bella immagine: consolatore, cioé Colui che sta con il solo (cum-solo).
Una pagina unica di San Bonaventura mette a confronto la consolazione che sappiamo darci a vicenda con quella che viene dallo Spirito Santo: “La consolazione che viene dallo Spirito é vera, perfetta e proporzionata. Vera perché é applicata dove deve applicarsi, all’anima e non agli istinti; al contrario della consolazione del mondo che placa la carne e affligge l’anima, come un cattivo albergatore che curasse il cavallo trascurando il cavaliere. Perfetta, perché consola in ogni tribolazione, non come fa il mondo che, nel dare una consolazione, procura due tribolazioni, come uno che rammenda un vecchio cappotto chiudendo un buco e aprendone due. Proporzionata perché dove é maggiore la tribolazione, apporta una consolazione piú grande e non fa come il mondo che nella prosperitá consola e accarezza e nell’avversitá irride e condanna”
Verrá e insegnerá, verrá e ricorderá. Questo é il compito del Consolatore in noi, se lo lasciamo fare: insegna, cioé scrive dentro, e ricorda, cioé riporta al nostro cuore. L’amore di Cristo, le sue parole. Ma non le conosciamo giá, non le ricordiamo da soli?
Siamo ancora infanti nell’apprendimento delle parole di Cristo; mi impressiona sempre leggere l’avventura di quel sant’uomo che fu padre Mien, il parroco di Novaiaderevna, vicino a Mosca, ucciso agli inizi degli anni Novanta. Aveva fondato un movimento di rinnovamento religioso e a coloro che lo avvicinavano diceva: “Non crediate che il Vangelo abbia ormai detto tutto; in realtá noi siamo ancora agli inizi della comprensione di quelle parole”.

Vi guiderá alla veritá tutta intera

Questa espressione é cosí cara alla Liturgia! La Veritá tutta intera.
Ognuno di noi, da solo, non ne possiede che un piccolo frammento e spesso si azzarda a identificare la sua veritá personale con la Veritá tutta intera.
Cosí sono le guerre di questo mondo: il cozzare delle veritá una contro l’altra, che produce tensioni, divisioni, partiti... Lo Spirito é donato per acquistare la larghezza delle vedute, la pienezza di giudizio, la sintesi delle visioni parziali. Quello che il grande domenicano Yves Congar, teologo e cardinale, chiamava “il senso della totalitá”.
Ognuno di noi, coscientemente o incoscientemente, é schiavo delle sue visioni idolatriche e fa fatica a comporsi in un unico disegno; nel matrimonio, nell’amicizia, nelle relazioni padre-figlio, nei gruppi e nelle comunitá. La veritá tutta intera ci é fatta brillare dallo Spirito, se sappiamo ascoltarlo; ma per ascoltarlo serve una disposizione umile dell’anima, sapere di non sapere. A tutti puó insegnare lo Spirito, a tutti ricordare; tranne a una categoria di gente: quelli che vivono dicendo “sí, giá lo so”.
Il suo suggerimento eterno ci convince della pace e ci libera dal turbamento.                  
Sí, pace, perché viviamo nella riposante certezza che tutto -tutto- ci sará insegnato dallo Spirito di Cristo.

padre Fabio, guanelliano