E col nuovo abito, costoso, con un gruppo di ragazzi e di giovani, tra cui un fratello e dei cugini, Luigi scese fino a Como: alcuni per il Collegio Gallio, altri per i seminari diocesani: dal 4 novembre 1854 al 26 maggio 1866.

Dopo 60 anni ricordava ancora le impressioni penose provate: la paura del lago, agitato, da solcare in battello fino a Como, poi l’ingresso. «A sera si entra nella gabbia del collegio. Il collegio è un conservatorio sacro e un luogo d’ogni benedizione; ma l’uccel di bosco è  entrato nella gabbia. Che panico! il coricarsi ed il primo levarsi nel collegio. Che peso per un montanarello semplice la disciplina della campana, le grida troppo frequentemente minacciose dei superiori e dei prefetti. Per ogni espressione materiale il silenzio all’angolo, il senza vino ai pasti; la sgridata se un giorno solo il prefetto o assistente notifica ai superiori una negligenza meno che colpevole. Non si sentiva la voce benevola della mamma, non il conforto dei fratelli: era a quei tempi in tutte le case di educazione sistema troppo rigido che educava i cuori più al timore che all’amore. E quegli studi sopra materie moltiplicate e quei brani di autori classici italiani e latini, che lacerazione a più d’un intelletto non ancora usato!

Per grazia di Dio il Padre censore era dappertutto colla sua voce grossa a minacciare e castigare ma era di cuor buono e tanto popolare che, morto pochi anni fa, lo si ricorda da centinaia e centinaia di allievi cresciuti alla famiglia ed agli impieghi civili ed ecclesiastici».

E aggiungeva poco oltre, abbinando anche per il seminario i due aspetti: «Ci si sta volentieri. In Seminario costa la disciplina della regola, il peso dello studio. Anche i Superiori ed i compagni sono in mano di Dio strumento di sacrificio e quindi di perfezionamento».

E ancora: «Durante le vacanze estive si sa che la ricreazione era la casa, la chiesa e qualche servizio alla campagna. II padre Lorenzo ne guardava severo i passi». Tutto questo lentamente scavava nel suo animo tracce profonde per l’avvenire.

Ma al di la delle difficoltà, specialmente iniziali, apparvero presto i vantaggi della nuova situazione, quale l’emergere e il crescere di amicizie profonde e costruttive, il rapporto cordiale, educativo, istruttivo con gli insegnanti e i superiori. Tra i più vicini agli alunni, c’erano gli educatori capaci di rompere il distacco e di accostare con mezzi semplici i più giovani: p. Sandrini, professore nel primo anno, che «inventava una carrozza bicicletta a due cavalli, capace di divertire nei cortili almeno sei alunni». Don Bonoli, guida spirituale, p. Arisio, p. Crepazi «rimangono profondamente fissi in cuore».

Poi i professori e i compagni di seminario, come lo Scalabrini, esemplare chierico e guida, di pochi anni più avanti; don Serafino Balestra, «un fenomeno di attività e di ingegno», che aprì al giovane studente Guanella l’interesse per la cultura, l’arte, le scienze, la tecnica e l’industria, ma anche gli ispirò amore e comprensione per i poveri: una figura entusiasmante, un modello. Si incontrarono poi un giorno a Dongo nella villa del Vescovo e ognuno vi portava le sue preoccupazioni; e il Balestra: «Che fai tu qui? Perché non posi come gli altri?». Rispose il Guanella: «Mi sento di seguire i passi del maestro; e lei quando poserà?». «Io – soggiunse – quando avrò tanto di terra sopra il mio corpo», Don Martino Anzi alternava l’ermeneutica con la storia e la botanica, guidando all’uso delle erbe medicinali. Don Gaudenzio Bianchi, direttore spirituale e saggio formatore, oltre che parente e amico. E tanti altri che entrarono in familiarità col Guanella.

II piccolo e serrato blocco di compagni, parenti o convalligiani, si allentò presto, si apri e si allargò come tutto il nuovo mondo di persone, di cultura, di vita politica, sociale, ecclesiale.

Naturalmente un posto importante toccava allo studio, con qualche materia ostica, come la matematica, dove passava di poco il sei, le lingue classiche, la filosofia, le scienze teologiche, nelle quali primeggiava; ma la sua apertura a molti interessi lo portava verso l’arte e l’archeologia, le lingue estere come il francese e il tedesco, tentò anche di abbordare la musica; purtroppo si doveva scegliere. E c’era anche da guadagnarsi il pane, risparmiando sui costi e sulla retta, prestandosi per alcuni anni a far da educatore in seminario e al Collegio Gallio.

Poi, nelle vacanze, ancora cultura, libri, questione sociale, raccolta di erbe medicinali per gli ammalati e per gli anziani: «Un vicino di casa, un certo Nesino, lo assistette per circa un mese sino alla morte», mentre i figli erano al lavoro, «passava le buone ore studiando e annotando con l’occhio pure intento al vecchio infermo». In seminario assisteva i compagni ammalati; un contagioso, che tutti accostavano con infiniti riguardi, il Guanella assisté fino alla morte, senza tante cautele e paure.

Era anche il tempo eccitato ed eccitante degli anni 1859-1866: gli anni delle guerre d’indipendenza; le vicende politiche erano viste e filtrate attraverso le griglie del seminario. Cavour e Garibaldi, l’unità, le leggi antiecclesiastiche, i confronti col passato recente e le prospettive per un torbido futuro: dall’esaltazione all’esecrazione di Pio IX. Dentro i seminari, qualche chierico lasciava tutto e prendeva le armi per seguire Garibaldi, uno finì segretario di Mazzini, un po’ ingenuamente; i professori dimenticavano la scuola per inneggiare ai prossimi liberatori o eccitare contro l’Austria. I superiori seguivano con ansietà e preoccupazione; i giovani naturalmente erano divisi tra le varie tendenze, nascevano discussioni, nasceva anche un giornalino interno di dibattito delle idee; il rettore mons. Bolzani dovette ordinarne la chiusura e intercedere presso il vescovo a favore del Guanella che in realtà stava su argomenti formativi e spirituali. Infine la diocesi rimase per sette anni senza vescovo; mentre nel carcere di S. Donnino giungeva il vescovo di Foggia, poi a domicilio coatto in seminario: lunghe ore di colloquio entusiasmavano il giovane chierico e meravigliavano il vescovo.

Le ultime traversie del 1866: il corso in seminario, occupato dai militari, fu chiuso anzitempo; i chierici rispediti a casa; quelli dell’ultimo anno, i diaconi, si raccolsero nel palazzo vescovile per la preparazione all’ordinazione: vescovo ordinante fu il Frascolla. Mentre la città era tutta in subbuglio per l’estensione a Como della cinta daziaria, il 26 maggio 1866 don Guanella fu ordinato sacerdote, ministro di Dio, di salvezza e di pace per un popolo profondamente diviso.

«Ai 26 maggio del 1866 erano gravi torbidi nella città di Como per molti avvenimenti del voluto risorgimento d’Italia. Ricordo come fosse oggi la imponente maestà del Vescovo ordinante, le esortazioni di fuoco dirette a tutti noi e le tenere raccomandazioni che ne fece dopo averci impresso nella fronte il bacio della pace». E scriveva al sacerdote che lo avrebbe seguito poi nei primi tempi di sacerdozio: «Santissima e gloriosa giornata la più bella della vita mia, giorno cui riandando nella mente negli anni avvenire io dovrei dimenticare qualunque affanno per balzare di gioia e di gratitudine».