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icona-Sacro-CuoreLa pupilla dei suoi occhi

IL SANTUARIO DEL SACRO CUORE - Como

Era il Sacro Cuore del 1913, giusto 100 anni fa

Don Luigi aveva appena finito il suo viaggio negli Stati Uniti d’America e l’amico Aristide Leonori, suo ingegnere nella Chiesa romana del Trionfale, lo aveva invitato a visitare in quel luogo una delle sue realizzazioni geniali: la riproduzione dei Luoghi Santi di Palestina, commissionata dai Francescani di New York e realizzata nel quartiere Brookland della grande metropoli di Washington.

Era riuscito ad andarvi nel Gennaio 1913 riportandone una suggestione straordinaria per l’alta spiritualità di quel Monastero Francescano nutrendo già il desiderio di rubare l’idea e adottarla per il suo Santuario comasco: “sarà in Europa, come lo è in America, Santuario unico e speciale”, scriveva.

L’idea era secondo il suo stile, con l’intento di ampliare la prima e la più importante delle tante Chiese che sognava nella forma più aperta e grandiosa possibile: un santuario accorsato e centrale, il primo dedicato al Sacro Cuore nella Diocesi di Como. Una sorta di Montmartre italiana.

In questa ristrutturazione del suo Santuario grande richiamo avrebbe giocato la riproduzione dei Luoghi Santi, per l’intima connessione tra il tema dell’amore di Dio rivelato nel Cuore di Cristo con il tema della sua umanità di cui i Luoghi Santi erano stati cornice. Leonori ne preparò il progetto che prevedeva, sovrapposti, il Calvario e il Sepolcro: ad unirli la riproduzione della Scala Santa, 28 gradini che la tradizione collocava nel palazzo di Pilato, memoria del cammino doloroso di Cristo avviato verso la sala del processo.

Con l’appoggio del suo Vescovo Archi e del Papa Pio X, don Guanella organizzò la benedizione e la posa della prima pietra per Venerdì 24 Luglio 1913; un temporale violento, insolito per il solleone estivo, rese memorabile l’evento. I lavori seguirono per oltre due anni; si pensava tutti che don Luigi avrebbe potuto celebrare nel suo bel Santuario rinnovato le nozze d’oro sacerdotali, ma venne la morte, qualche mese prima.

Quel suo Santuario contava già vent’anni, ma ancora non rispondeva ai sogni di don Guanella; pellegrino a Loreto, a Pompei, ad Assisi, a Lourdes, in Terrasanta e a decine di altri Santuari maggiori e minori, sapeva quanta vita vi circolasse. Azzarderei l’idea, tutta dimostrabile, che la forma tipica della missione guanelliana si presentava proprio così, schematicamente: un santuario di culto con attorno le opere di caritá.

Infatti già nel suo primo tentativo fallito di Traona, la vecchia Chiesa del Convento di San Francesco era destinata, nei suoi progetti, a riprendere vita come Santuario e a diventare l’anima della sua opera. Don Luigi, che fu grande edificatore e restauratore di Chiese, parló quasi esclusivamente di ‘santuari’: così fu per Sant’Anna di Roveredo, per il caro tempio romano di San Giuseppe, per San Gaudenzio di Vicosoprano, per la Casa Madre delle sue suore a Lora dedicata alla Madonna della Provvidenza, per la Chiesa di Nuova Olonio, per la Madonna della Pace a Stimianico. Parlava sempre di ‘santuari’, che erano in certo modo la piattaforma ideale della sua missione: evangelizzazione e promozione umana. Così fu per Como, a fortiori.

santuario dal cortileLa prima Cappella di Como (1886-1893)

Da sempre l’idea era stata quella del Sacro Cuore, per realizzare unità e continuità con la prima culla dell’opera guanelliana, avviata da don Carlo Coppini a Pianello Lario e dedicata al Sacro Cuore. E da sempre la sua idea era stata quella di un Santuario pubblico, cuore propulsore della sua Casa Madre e dell’Istituto tutto, forte dell’impressione sperimentata a Valdocco presso la basilica salesiana dell’Ausiliatrice e sull’onda della maestosa costruzione salesiana in onore del Sacro Cuore a Roma, in zona Castro Pretorio, di fronte alla Stazione Termini. Di fatto il primo nome pensato per i suoi religiosi era stato semplicemente “Figli e Figlie” del Sacro Cuore.

Gli inizi erano stati modesti, come sempre.

Arrivando a Como nell’Aprile 1886, Suor Chiara e le prime sorelle avevano subito organizzato un piccolo oratorio occupando parte del pianerottolo al secondo piano di Casa Biffi. Chiamarla Cappella sarebbe troppo: uno spazio con un tavolo, sormontato dall’immagine del Sacro Cuore; ai lati un quadro di San Francesco e uno di San Giuseppe. La piccola comunità delle nostre origini inizió a praticarvi la visita quotidiana al Sacro Cuore.

Nel frattempo gli anni 1886-1888 furono febbrili per ampliamenti, costruzioni, ristrutturazioni. Un cantiere perpetuo per fare spazio ad ogni nuova povertà; per capire il panorama delle presenze e la loro articolazione potrebbe essere utile la lettura di quel documento eccezionale che sono le ‘Massime di spirito e metodo di azione’, piccoli appunti di conferenze dettate da don Guanella alla giovane fondazione. Emerge un quadro interessante per il numero e la specie delle povertà, fonte e modello di ispirazione per i guanelliani di tutti i tempi e di tutte le latitudini: in pratica l’idea di ‘casa’ che aveva il Fondatore, purtroppo sconosciuta o disattesa. 

Un testo straordinario al quale affiancherei il volumetto ‘Un saluto al nuovo anno 1889’; entrambi lasciano impressionati per la sorprendente coincidenza con molti dei nostri problemi attuali: costruzioni, adeguamenti, ristrutturazioni, formazione del personale, programmazione delle attività, debiti, reperimento fondi, vocazioni, rapporti con gli enti, urgenze e appelli del mondo...

In questa fase di ampliamento la prima cosa messa a progetto fu una Cappella che si sarebbe ricavata dal prolungamento di Casa Biffi; a Marzo 1888 don Luigi fa domanda al Vicario generale di poterla benedire e di potervi celebrare l’Eucaristia. Mons. Merizzi, in risposta, incarica il Parroco di Sant’Agata don Callisto Grandi di visitare il locale che si trova nella sua giurisdizione parrocchiale e, a suo giudizio, di benedirlo. Costui era amico e compagno di studi di don Guanella: venne, approvò e fissò per il seguente Lunedì dell’Angelo, 2 Aprile, il rito della Benedizione.

Nel frattempo don Luigi insiste per lasciare la cura pastorale di Pianello e trasferirsi a Como, ma la sede vescovile ancora vacante ritarda tutte le decisioni; in lettera del Maggio 1888, mentre torna inquieto sul tema, fa domanda per conservare nella nuova Cappella il Santissimo Sacramento. La Curia tace, ma in autunno don Guanella si reca di persona a Roma, presso il Papa, e verosimilmente ripete l’istanza al Vicario di Cristo, tanto che già per la Festa dell’Immacolata ne parla pubblicamente come cosa accordata e a fine Gennaio spedisce gli inviti per la Santa Messa del 2 Febbraio, Festa della Purificazione, in cui sarebbe iniziata la slpendida avventura della presenza eucaristica nella Piccola Casa.

Fu un giorno di grazia che don Luigi seppe preparare degnamente nell’animo dei suoi religiosi e degli ospiti della Casa e la lettura postuma che ne fece racconta di una serie di grazie straordinarie: donazioni, vocazioni, vittime, ulteriori chiamate della Provvidenza.

santuario internoIl Santuario (1893-1913)

Intanto la novella fondazione contava già cinque anni ed era cresciuta a dismisura, costruzioni su costruzioni, poveri su poveri, un numero crescente di religiosi e di aspiranti alla vita religiosa. La primitiva Cappella non solo era ormai insufficiente, ma non permetteva bene il rapporto tra la città e la Casa, al quale don Guanella teneva particolarmente.

Sulla Via Tomaso Grossi era rimasta una frangia di terreno libero giusto in mezzo tra il reparto maschile e quello femminile: si decise che lì sarebbe sorta la Chiesa e se ne parló al nuovo Vescovo mons. Ferrari nella visita che fece alla Piccola Casa il 12 Novembre del 1891.

Nel testo che la nostra tradizione chiama ‘Bozzetti’ è don Guanella stesso a raccontare la famosa vicenda legata a quella visita nella quale il novello Vescovo fissava generosamente le dimensioni del tempio da edificare al Sacro Cuore.

Che senso potesse avere per don Guanella quella Chiesa è facilmente intuibile; si trattava di un affacciarsi con qualcosa di suo e di nuovo alla ribalta della città e della diocesi, uscendo da un certo isolamento e da una qualche soggezione. Con accanto un santuario le sue opere di carità entravano a pieno titolo nel tessuto ecclesiale. E poi vi era tutto il risvolto legato al laicato, ai benefattori; di fatto quasi parallelamente ai lavori nasce il Bollettino dell’Opera, ‘La Divina Provvidenza’. Senza contare l’aspetto del culto interno della Casa per gli ospiti, per le due Congregazioni, per i giovani aspiranti. Il legame Eucaristia-Opere di misericordia è ben noto a chi conosca un po’ don Guanella e la sua mistica del povero: l’adorazione che la fede ci chiede verso il pane eucaristico rimanda all’adorazione di chi è solo e schiacciato, messo da parte e marginalizzato come il Signore Gesù.

Anche la dedicazione al Sacro Cuore, mentre costituiva coincidenza storica con le origini di Pianello, era senza dubbio la forma più geniale per collegare il carisma (l’amore di Dio Padre) con la missione (le creature più fragili): il Cuore di Cristo come incontro tra i desideri del Padre e i bisogni del povero, con un’antropologia tutta giocata sull’amare-farsi amare. Quando si è persona? Cosa fa di una persona una persona? La sua capacità di amare ed essere amata, non le qualità o i gradi di esercizio delle proprie facoltà. Così don Luigi diceva al mondo la sua predilezione intima per le non-persone e l’obiettivo di fondo delle sue opere: perchè quelli di nessuno si sentano qualcuno. La sua filosofia sull’uomo conosceva solo tre parole: corpo, anima e cuore. Quest’ultima parola poi, nell’universo teologico dell’Ottocento, non era solo il simbolo dell’amore, ma quella parte di noi che ci fa capaci di pensare nel senso di scegliere: avere a cuore, distaccare il cuore, metterci il cuore, dare il cuore; mente e cuore, diceva don Guanella, pensieri e affetti. Era la devozione più congeniale al suo spirito.

Il suo santuario crebbe con l’aiuto e la manovalanza di tutta la Casa, con i soldi di tanti che don Luigi seppe coinvolgere nel suo disegno d’amore e con numerose donazioni elargite da Chiese, Monasteri, Comunità varie a cui il nostro seppe bussare nella morsa del bisogno: fu una gara a regalare altari, suppellettili, immagini...

A Dicembre 1891, tra le gelate invernali, iniziarono i lavori che si conclusero un anno dopo per il 31 Dicembre 1892; il primo giorno del nuovo anno il tempio era già in funzione. Don Luigi sceglierà il mattino del 6 Aprile 1893, in piena ottava di Pasqua, per la Consacrazione della  sua Chiesa, richiesta all’amico e padre mons. Ferrari. Non era un giorno qualunque quel 6 Aprile, aveva registrato una traversata del Lago ricca di speranze e piena di incertezze; Dio l’aveva benedetta ed era diventato un giorno santo della piccola comunità. Finalmente la Casa Madre aveva un suo tempio.

Il Santuario rinnovato (1913-1915)

Vent’anni dopo, sulla scorta della memorabile visita di qualche anno prima in Terra Santa, ospite in terra americana, don Luigi entrava nel noto Monastero Francescano di Washington e ne scriveva a Suor Marcellina, nel Gennaio 1913: “Sto studiando qui il Santuario Sacro Cuore”. Tornato a Como mette mano al sogno, convince l’amico progettista Leonori e l’ing. Perrone di Milano a preparare i disegni e intanto scrive una circolare destinata ai suoi benefattori: “a fianco della Casa Madre dei miei vari Istituti in Como, ho edificato da un ventennio una modesta e provvisoria Chiesa dedicata al Sacro Cuore di Gesù, sempre nutrendo in me l’intenzione di ampliarla ed elevarla allo splendore di un vero Santuario dove il Sacro Cuore di Gesù fosse in modo specialissimo glorificato”. Era il 1913 e si mise mano all’ampliamento; tutte le case si tassarono per anni per pagare il Santuario della Congregazione, era la casa di tutti, lì era la sorgente, tutti lì erano nati.

L’opera aveva una sua logica molto più che edilizia o strategica: si completava l’asse devozionale del Santuario che traduceva in modo fluido la spiritualità guanelliana tutta imperniata su Eucaristia-Cuore-Passione, Gesù pane immolato per amore. Allo stesso tempo saldava le due anime del guanelliano: monaco per vocazione a forte componente contemplativa e apostolo di carità consumato nella dedizione ai poveri. Monaco-apostolo. Con due tensioni d’animo: pregare e patire, di stampo benedettino rivisto.

Prima della paralisi del 1915, don Luigi aveva visto ormai terminate le murature, il tetto, la parte muraria del Santo Sepolcro-Calvario, ma il resto passava in testamento ai suoi, inaugurazione compresa, giacché l’Italia a Maggio era entrata in guerra e non vi era animo di fare feste inaugurali. Paradossalmente l’investitura di quel luogo santo avvenne il 28 Ottobre di quel 1915, quando i figli si radunarono a celebrarvi il funerale del Padre. L’opera grande era terminata ed era lui, don Guanella, a benedirla col passaggio della sua santa bara, senza sapere che quella Chiesa, un giorno, sarebbe stata la casa del suo riposo eterno, accanto a Chiara.

Quando parliamo della grandezza di don Guanella dobbiamo pensarla così, anzitutto come grandezza delle idee. Non era un esaltato, ma la forma tipica e primigenia delle sue opere è pensata in grande perchè l’immagine che gli aveva stordito mente e cuore era il Cottolengo di Torino; certo la vita gli chiederà anche servizi volanti e ridotti, come l’opera delle Stazioni cattoliche o degli Asili, ma l’impronta digitale del suo stare nella Chiesa è il quartiere di Roma Trionfale che diventa comunità, il Borgo degli ortolani di Milano che vede crescere l’opera di Sant’Ambrogio ad Nemus, la casa di Roveredo o di Fratta, di Belgioioso o di Lora. Non cosucce, ma veri villaggi.

Il suo ritornello più frequente era: “quanti più si può”, perchè ogni povero strappato all’abbandono è un pezzo di cielo. Quanti più si può.

Verso oriente

A volte mi capita di pensare a un giorno indimenticabile della nostra storia, la Domenica 5 Maggio 1996, quando il il Successore di Pietro, papa Giovanni Paolo II entrò in Via Tomaso Grossi; per la prima volta un pontefice veniva a inginocchiarsi davanti al povero prete di Fraciscio, chiacchierato e dato per pazzo a suo tempo. Quante volte era andato lui a inginocchiarsi davanti al Vicario di Cristo. Ora la Chiesa, la sua Chiesa amata, lo ringraziava e lo riconosceva. Con delle parole indimenticabili: “La Città e la Diocesi di Como non possono essere pensate senza don Guanella”. La sua Città, la sua Diocesi: era già una canonizzazione ante litteram, forse la più gradita per don Luigi, perchè non c’è un giorno più bello di quello in cui tua madre ti riconosce. Essere figli è essere riconosciuti.

Como per noi Guanelliani è l’Oriente a cui guarda ogni opera della terra, il luogo da cui e verso cui della nostra avventura; così fu per don Luigi: non diede passo, non proferì parola, non mise mano ad impresa che non partisse da lì o che lì non tornasse. Lui stesso fu più volte blandito da altre proposte seducenti, spostarsi a Milano presso l’amico cardinal Ferrari o a Roma, all’ombra del Papa. Tutto sarebbe stato più facile.

Non lasciò mai Como. Vi era la sua creatura prediletta, il primo amore. Tra le lacrime aveva lasciato la sua mamma per andarvi a studiare, tra le lacrime aveva opposto un rifiuto a don Bosco pur di tornarvi, tra le lacrime vi aveva vissuto per un quarto di secolo ignorato e deriso. Ma era la Casa. Come un uccello il suo nido, tra i rami di quelle pareti vi era anche la sua stanza, sospesa, affacciata, contigua.

Aveva concepito così il suo sacerdozio e la sua esistenza, un cuore che si fa a pezzi per dire quanto è buono Dio. Ne aveva avuto la sua dose di conseguenze in termini di persecuzione e di debiti, di batoste e delusioni, con una vita spesso sul bordo. Chi è tutto cuore non vive tranquillo, anche se sa di essere nella pace.

Una vita all’ombra del Sacro Cuore: c’era forse un posto più luminoso di quell’ombra da scegliere?

                                                                  padre Fabio Pallotta, guanelliano

Solennità del Sacro Cuore di Gesù 2013