NATALE DEL SIGNORE – anno B

25 Dicembre 2011

 

 

Questa settimana Fabio non è in sede, ma si trova in Italia per incontri e conferenze.              
Così ci affidiamo alla meditazione sempre profonda e ispirata del Card.
Giacomo Biffi, già Arcivescovo di Bologna.

 

OMELIA NELLA SANTA MESSA DELLA NOTTE DI NATALE

Venerdì 24 Dicembre 1999 - ore 24.00 - Cattedrale di San Pietro

Il Natale ritorna sempre con la consolazione del suo messaggio di speranza, con il fascino dei sentimenti di bontà e di pace che suscita, con l’incanto della sua atmosfera serena. Questa notte natalizia però ha qualcosa di singolare: ciò che la fa diversa da quella degli altri anni è una porta che si apre.

A Roma Giovanni Paolo II, in questa medesima ora, apre la "Porta Santa" e la varca per primo. Dopo di lui per quella porta - di nuovo spalancata dopo una chiusura venticinquennale - passeranno i pellegrini di tutti i paesi del mondo a cercare in San Pietro la grazia del perdono, del rinnovamento interiore, della perfetta riconciliazione tra le genti.

Il rito che proprio adesso si sta compiendo nella basilica vaticana segna l’inizio dell’anno giubilare e ci introduce tutti in un’immensa esultanza e in una commossa festa di gratitudine: l’esultanza e la gratitudine per i duemila anni dalla venuta tra noi del Figlio di Dio. Quello effettuato in questo momento dal papa è un gesto ricco di significato, compiuto su una porta evocatrice di simbolismi spiritualmente preziosi.

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La "grande gioia" annunciata a Betlemme dall’angelo, di cui ci ha parlato il Vangelo, è l’entusiasmo per la porta del cielo che si è finalmente disserrata e per l’umanità che ha potuto accogliere il suo Salvatore.

Lunghi secoli avevano implorato quel momento. Tutte le genti avevano almeno inconsciamente anelato a un ingresso di Dio nell’oscura e dolorante vicenda umana: un ingresso che riuscisse a dissipare le nebbie dei nostri errori e dei nostri dubbi, a sciogliere le durezze e le malignità dei nostri cuori, a ridare senso e destino a un'esistenza che troppo spesso ci appare senza valore e senza traguardo. I secoli e le genti attendevano impazienti una illuminante e gratificante manifestazione del Creatore; quel Creatore che dava a molti l’impressione di essersi reso, per così dire, latitante. "O se tu squarciassi i cieli e scendessi!" (Is 63,19), aveva sospirato il profeta.

Ed ecco che i cieli si dischiudono davvero, nel silenzio notturno di una campagna palestinese. Si dischiudono su una stalla e nasce un bambino. Il Signore è sempre sorprendente e imprevedibile nelle sue iniziative. Anche Isaia - l’abbiamo ascoltato - nel suo grido preannunziatore sembra far vibrare tutta la sua meraviglia: "Un bambino è nato per noi…e sulle sue spalle è il segno della sovranità" (cf Is 9,5).

Dio ha congiunto alla fragilità di un bambino la potenza del suo Regno e l’infinità della sua misericordia. Per questo bambino, che è l’Unigenito del Padre, uguale e consostanziale a lui e allo Spirito Santo, Dio è con noi, Dio si è fatto uno di noi, Dio è per noi.

Per noi, e specialmente per i più miseri e sventurati. Il Verbo eterno nasce nel tempo e quasi si confonde nella folla delle creature effimere e sottomesse alla sofferenza. Dalle altezze divine scende a livello degli umili. Si spoglia della potenza e della gloria che da sempre possiede, e si fa compagno e fratello di coloro che al mondo non contano e non hanno fortuna.

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Dopo che la porta del cielo si è aperta a donarci il Signore della verità e della vita, è necessario che ad accoglierlo si apra anche la porta del nostro cuore. La salvezza ci è discesa dall’alto, perché da soli non potevamo salvarci: da soli possiamo solo respingerla. C’è nell’uomo la tragica libertà di dire di no al Dio che è venuto per lui.

Se ci ripieghiamo soltanto su noi stessi e sul nostro egoistico tornaconto, noi voltiamo le spalle al Salvatore. Per trovarlo bisogna fare come i pastori e come i magi: andare a cercarlo con fede semplice e generoso spirito di solidarietà presso coloro con i quali egli si è messo.

Andiamo verso gli umili, perché più non siano umiliati. Andiamo verso coloro che soffrono per la giustizia, così da contribuire per quel che possiamo a che un po’ di giustizia sia fatta. Andiamo verso i malati e gli infelici, perché si sentano un po’ meno abbandonati.

Avete udito nella prima lettura il grido giubilante del profeta, che già antivedeva questa nostra ora di gioia: "Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce" (Is 9,1). E’ la luce della verità, che è venuta a rivelarci la nostra origine e la nostra mèta. E’ la luce che ci offre l’unica risposta plausibile alle questioni sostanziali, che fatalmente fioriscono nell’animo di chi non rinuncia a pensare: senza questa risposta, l’uomo non può serenamente, da creatura ragionevole, né vivere né guardare in faccia alla morte.

La pagina del vangelo di Luca, che ci ha affascinato con la sua umanissima semplicità, ha però una pungente nota di tristezza quando dice a proposito di Maria e del nascituro: "Non c’era posto per loro" (Lc 2,7). L’albergatore di Betlemme aveva trovato posto per tutti, tranne che per il suo Salvatore e Signore.

Non càpiti anche a noi di fare altrettanto: di lasciare che la mente, il cuore, la coscienza si ingombrino di mille pensieri senza sapienza, di mille desideri senza nobiltà e senza rettitudine, di mille preoccupazioni effimere e vane. In tal caso, c’è il rischio che colui che viene e picchia alla nostra porta interiore non trovi più spazio nella nostra intelligenza, nei nostri affetti, nella nostra vita.

Nel Natale che inaugura l’Anno Santo, brillano di una luce più calda e più emozionante le dolci parole che Gesù - "il Primo, l’Ultimo e il Vivente" (cf Ap 1,17) - rivolge a ciascuno di noi dal libro misterioso e splendente dell’Apocalisse: "Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui; e a tu per tu noi ceneremo insieme" (cf Ap 3,20).

 

 

Giacomo Biffi, cardinale arcivescovo di Bologna