Fra i molti e diversi casi di povertà da assistere, don Guanella amo orientarsi lungo due linee principali: «i più poveri e i più abbandonati, fra i figli poveri ed i vecchi poveri». Ma  «tra i figli e i vecchi poveri venivano in copia le creature scarse di mente che, ad esempio del Cottolengo, la casa chiamò buoni figli». Furono specialmente queste categorie che trovarono assistenza e ospitalità nella sua opera di Como, e, quando questa fu sufficientemente sistemata (verso il 1893, con la costruzione anche della chiesa), si passò verso località nuove, a raggio sempre più largo lungo l’Italia e all’estero: a Milano (1893), a Como-Lora (nel 1897), poi a Roveredo nella Svizzera italiana (1899), a Nuovo Olonio nel 1899 con l’avvio delle colonie agricole per i subnormali; a Fratta nel Polesine (1900), a Roma (dal 1903, varie opere), fino a Cosenza (1913) e negli Stati Uniti (1913). E attorno a queste istituzioni una pleiade di opere diverse, dagli asili per l’infanzia alle parrocchie, alle assistenze per gli emigrati, stazioni climatiche e case con laboratori tipografici, incannatoi e artigianati vari maschili e femminili. Si cominciava sempre dal piccolo, poi la Provvidenza conduceva anche assai lontano: scriveva don Guanella per Milano nel 1893: «Si avrebbe in animo di ristorare lo stomaco di tanti bambini innocenti con una scodella di minestra al mezzodì: sarebbe una grazia per i bambini, e un aiuto poderoso a tante madri operaie, che dovendo in giornata applicarsi al lavoro per vivere, trovano di dovere spesso abbandonare da mane a sera i cari del loro cuore». Poi si andava avanti e «da cosa nasceva cosa», come gli era ormai proverbiale ripetere.

E contemporaneamente la Provvidenza mandava i collaboratori adatti: due nuclei di religiose e di religiosi si andarono costituendo gradualmente, coinvolti dalla figura carismatica di don Guanella, dal desiderio di fare un po’ di bene, sostenuti dalla grazia di Dio. Già a Traona si era costituito un piccolo gruppo, composto da don Guanella, dal parroco di Traona, don Silvestri, e dal parroco di Sacco per organizzare il collegio e risolverne le difficoltà: «Di tanto in tanto si raccoglieva il consiglio dei tre, ma con poco frutto, perché, studiata la cosa per un lato, non si trovava uscita». Poi c’era un giovane chierico teologo, Carlo Cima e due altri giovani, Ferrua e Montebugnoli, a costituire il primo nucleo iniziale, che tuttavia andò disperso per la chiusura del collegio. A Pianello si trovo già disponibile il gruppetto di poche religiose raccolte da don Coppini: in particolare le due sorelle suor Chiara Bosatta, la minore, una santa concreta e mistica, morta poco dopo l’apertura della Casa di Como, nell’aprile 1887, e suor Marcellina, donna di governo e di coraggio, divenuta poi Superiora generale della congregazione delle Figlie di S. Maria della Provvidenza, confondatrice con don Guanella. II passaggio formale alle dipendenze di don Guanella può essere fatto risalire al 1885, quando si trattç di decidere della espansione dell’ospizio iniziale, passando a Ardenno e poi a Como. Don Guanella ne scrive al Vescovo il 19 marzo 1885 e annota: «Si vorrebbe che io ne assumessi l’adozione». L’anno successivo, col passaggio a Como, avvenne la distinzione formale tra il gruppo di quelle che rimasero autonome, in famiglia, e le altre che decisero di unirsi al nuovo padre nella nuova linea e sistemazione dell’opera. Alle prime quattro rimaste dal gruppo delle professe di don Coppini, si aggiunsero altre con don Guanella a Pianello; la distinzione divenne precisa con le prime professioni fatte nella nuova Casa di Como: «21 agosto 1886 nella Piccola Casa delle Serve Povere in Como – nota don Guanella, nel registro della Pia Unione – fu ammessa alla professione Calvi Ombellina da Pianello la quale da mesi e con buon proposito si è dedicata nell’ospizio». Nel giro di poco tempo le cose andarono precisandosi, finché un elenco del 25 marzo 1889 si conclude con la osservazione: «Tutte le suddette sono appartenenti all’Ospizio in Pianello ed alla Piccola Casa in Como».

Gradualmente si andò organizzando anche il nuovo gruppo maschile: due fratelli di Pianello possono considerarsi anche qui alla base iniziale: Alessandrino e Leonardo Mazzucchi; il primo, allievo promettente e piccolo santo, morì giovanissimo per disgrazia a Como nel 1890; il secondo fu sacerdote diocesano e nel 1906 entro nella casa di Como, preceduto di pochi mesi da don Aurelio Bacciarini: questi fu poi primo successore di don Guanella e poi Vescovo di Lugano; don Leonardo gli successe come superiore dal 1924 al 1946.

Accanto a queste vocazioni e persone straordinarie, altri, piccoli di fama, ma spesso non inferiori per virtù e sacrificio, si unirono in congregazione di Servi della Carità, sacerdoti e laici. Su un piccolo registro, prezioso anche se poverissimo di forma, don Guanella annota in data 24 marzo 1908: «In ossequio ai desideri della S. Congreg. del vescovi e regolari, in esaudimento di desiderio da pezza espresso e coltivato, i sottoscritti addivennero alla celebrazione dei voti semplici perpetui nell’Istituto dei Servi della Carità». Seguono le firme sua e di alcuni altri. Era certamente poco più di un rito formale, perché la donazione era stata già fatta piena e irrevocabile da anni; ma è in poche righe il riassunto burocratico di una lunga storia di preparazione e di attesa, di donazione di vite e di impegni nelle opere, nei sacrifici: un elenco di grandi cuori.

Nel 1912 don Leonardo Mazzucchi preparava un breve scritto per un albo commemorativo del venticinquesimo delle opere, che poi non venne forse mai pubblicato: «Dal 1886 al 1911: da Como a Roma. Venticinque anni sono, un povero prete montanaro, messo a reggere una piccola parrocchia del Lario, che molti osteggiavano, i benevoli compativano credendolo incapace a dar esecuzione ai suoi grandi ideali; qualche lira in tasca; alcune camere modeste in una via secondaria di Como. Null’altro? Molto altro: tutto; c’era la persuasione, la fede inconcussa in una vocazione data da Dio, c’era il graduale ma effettivo svolgersi dell’assistenza del Signore. Difatti, a distanza di venticinque anni, ecco una fioritura di case e di ricoveri in diverse parti d’Italia e dell’estero, una folla di bisognosi beneficati, una schiera di seguaci generosi e di buona volontà, pronti dietro a lui a consacrarsi ad estendere le conquiste della carità cristiana.

Cioè: anche adesso, dopo venticinque anni, c’e ancor nulla da parte nostra, siam nulla. Sono poveri ricoveri, veramente poveri, pieni di bisogni, recanti nel mare della beneficienza una sola gocciola insufficiente alla vasta pianura riarsa delle sofferenze umane; siamo umili preti, peccatori e sconosciuti, che abbiamo avuto la sorte avventurata e gratuita di trasmettere ai corpi e alle anime dei sofferenti e dei bisognosi quei soccorsi, che la numerosa accolta dei benefattori ci ha man mano affidato, con quella volonterosità che ci viene dal desiderio di far bene e di far del bene e dalla grazia di Dio. Ma gli è che il Signore, lui il vero Benefattore, dopo venticinque anni ci si è fatto vedere nel nostro passato e nel nostro futuro, lui solo gigantesco dominatore e padrone dell’opera nostra; nel nostro passato, dove ogni giorno di vita appare una prova luminosa dell’aiuto del Signore, il cui intervento prende maggior risalto dalla insufficienza degli uomini; nel nostro avvenire, giacché abbiamo il presentimento di potere in seguito colla virtù e col lavoro nostro strappare a Dio prodigi di assistenza e di benedizione in un espandersi sempre più fecondo e consolante».

A questi figli e figlie spirituali trasmetteva il suo spirito e la sua missione. Per lui era quasi giunta l’ora di smontare la tenda e riavvolgerla. Gli ultimi atti furono un impegnativo viaggio negli Sati Uniti, inverno 1912-13; un duro impegno di presenza stimolante nel gennaio 1915 fra i terremotati della Marsica, senza risparmiarsi un momento. Come aveva scritto: «Beate voi, suore, quando nelle corsie degli ospedali, nell’assistenza di esseri piagati e puzzolenti, offrite la vostra giovinezza in sacrificio a Dio, liete di confortare chi soffre con la dedizione completa di tutto il vostro essere!». Così lui consumo tutta la sua vita.

A fine settembre fu colpito da paralisi e in breve il suo corpo cedette totalmente. Chi tentava di mettere ordine fra le sue carte e i suoi impegni, consumò vari fogli di carta bollata per ottenere una firma necessaria per un mutuo avuto senza interessi dall’amico mons. Barge: una fatica estrema per la burocrazia fiscale e ne restano i pietosi saggi di tentativi. Lasciava debiti e poveri. Lasciava anche in contropartita e in missione il mondo intero: «Voi non avete più patria, perché tutto il mondo è patria vostra. La patria è la dove e Dio, e Dio è dappertutto».

II 24 ottobre 1915 egli tornava al suo Dio, ripetendo come all’inizio di Prosto: «Eccomi servo fedele».